Oscure gemelle: il mito di Inanna ed Ereshkigal

Amo profondamente l’archetipo incarnato dalla dea Inanna: potente e giocosa, materna e sensuale, coraggiosa e vendicativa, la sumera Inanna esprime i molteplici aspetti del femminile. È allo stesso tempo una Grande Madre e una dea della guerra, dell’amore e della bellezza, della fertilità dei campi e Signora Splendente del Cielo, che abbandona per scendere nel mondo sotterraneo – per incontrare Ereshkigal, la sua controparte, la gemella oscura che regna nel Gran Luogo Inferiore. 

Questa è la storia del loro incontro.

Nekyia: la discesa di Inanna

Ci sono molti miti e molte storie che raccontano della dea e della sua discesa nel mondo sotterraneo: la greca Persefone, la romana Psiche, la giapponese Izanami, ma anche le eroine delle fiabe, che scendono nel pozzo (per andare da Frau Holle) o attraversano il bosco (per visitare la Baba Yaga); ma il mito più antico che tramanda questo motivo risale al terzo millennio a.e.c.; è stato trascritto su tavolette d’argilla in caratteri cuneiformi, e probabilmente riporta un mito ancora più arcaico, risalente alla notte dei tempi, quando ancora non esisteva la scrittura. 

La storia parla della dea Inanna, regina del Cielo sumera, che decide di inoltrarsi nel “paese dal quale nessun viaggiatore ritorna”, dove regna sua sorella Ereshkigal, da poco rimasta vedova di Gugalanna.

Per prepararsi alla discesa, Inanna raccoglie i sette me: energie divine che ordinano e mantengono l’esistenza del cosmo, potenze e talenti che definiscono il mondo, che lei veste come sue insegne regali, in forma di vesti lussuose, unguenti e gioielli. Al suo fianco ha la fida ancella Ninshubur, alla quale, prima di varcare la porta del mondo di sotto, fa una precisa richiesta: “Se non ritorno, eleva lamenti per me presso le rovine; percuoti il tamburo nei luoghi di riunione. Aggirati intorno alle case degli dei. Graffiati gli occhi, la bocca, le cosce. Indossa una sola veste, come una mendicante. Vai al tempio di Enlil, e grida ‘non lasciare che tua figlia sia messa a morte nel mondo sotterraneo!’ […] Se Enlil non ti aiuta, vai a Ur, al tempio di Nanna. […] Se Nanna non ti aiuta, vai al tempio di Enki. Lui di certo non mi lascerà morire.

Inanna vuole fare visita a Ereshkigal per assistere ai funerali di Gugalanna, senza sapere che si sta recando al suo proprio funerale: la dea del mondo sotterraneo infatti si infuria, e pretende che la regina del cielo sia trattata come ogni comune mortale. Comanda al guardiano: “Fa’ entrare Inanna. Man mano che entra, toglile gli indumenti regali: che la sacerdotessa del cielo entri nuda e china a terra.”

Quando incontra la sorella, nuda e accovacciata – nella posizione in cui i sumeri seppellivano i defunti – Ereshkigal la uccide e il corpo di Inanna, reso ormai un pezzo di carne putrida, viene appeso a un gancio nel muro. 

Dopo tre giorni, vedendo che Inanna non ritorna, Ninshubur segue le istruzioni della dea e cerca aiuto per salvarla. Né Enlil, dio del cielo e della terra, né Nanna, dio della luna e padre di Inanna, accettano di immischiarsi nelle cose del mondo sotterraneo; solo Enki, dio delle acque e della saggezza, accoglie la richiesta di Ninshubur e per salvare Inanna crea due piccole creature androgine con la terra che ha sotto le unghie. Queste vanno da Ereshkigal, che nel frattempo sta soffrendo (per le doglie o per la morte del marito), e le offrono sollievo con il cibo e l’acqua della vita che Enki ha dato loro, ottenendo così la liberazione di Inanna e la sua rinascita. 

Il mito continua con la ricerca di un sostituto che prenda il posto della dea nel regno dei morti, ed è qui che Inanna mostra il suo volto vendicativo: perché, fra tutte le persone che la conoscono, l’unico a non aver pianto la sua scomparsa è proprio Dumuzi, il suo amato consorte. Inanna fissò su Dumuzi gli occhi della morte. Pronunciò contro di lui le parole dell’ira. Emise contro di lui il grido della colpa: “Prendetelo! Prendete Dumuzi!”

I demoni dell’oltretomba lo catturano, ma Dumuzi ottiene di dividere la pena con la sorella Geshtinanna: trascorreranno metà dell’anno ciascuno, a turno, sulla terra e metà nel Gran Luogo Inferiore, dando origine così al susseguirsi delle stagioni. 

Quattro aspetti del mito

La discesa di Inanna e il suo ritorno sulla terra possono offrirsi a quattro diverse interpretazioni, come spiega Sylvia Brinton Prera nel suo La grande Dea – il viaggio di Inanna regina dei mondi (oggi purtroppo fuori catalogo): innanzitutto il mito dà una spiegazione del susseguirsi delle stagioni, come in quello di Persefone e Demetra,  e del ritmo del tempo – Inanna è associata a Venere, la prima “stella” che si può vedere nel cielo, alternativamente al mattino o alla sera.

Il mito di Inanna ricorda quello di Demetra anche per un altro motivo: entrambi raccontano di un’iniziazione ai misteri. Demetra è colei che ha insegnato i misteri Eleusini agli uomini, mentre Inanna è la prima iniziata di cui si abbia notizia, colei che per prima ha attraversato la porta proibita, sacrificando le proprie caratteristiche regali – i me – perché sa che, per quanto dolorosa e foriera di morte, la discesa è giusta e la risalita la renderà ancora più consapevole e potente. 

In questo senso, il viaggio agli inferi di Inanna è anche una metafora dei processi psicoanalitici profondi, nonché un simbolo per tutte le persone, soprattutto donne, che sempre più spesso stanno cercando di riappropriarsi di un nuovo modello del femminile

Oscure gemelle: come questo mito mi ha ispirata

L’aspetto della storia di Inanna che mi ha più affascinata è la relazione con Ereshkigal, la gemella oscura. Entrambe sono Grandi Dee, ma sono anche i due volti di un’unica Dea: infatti, alla fine del mito, da un lato c’è Ereshkigal che, placata e rasserenata, concede al corpo di Inanna di tornare in vita, dall’altro c’è Inanna stessa che, in preda alla furia, condanna a morte il suo amato sposo – lo stesso che poi piangerà, dopo che i demoni lo avranno preso. Ereshkigal incarna il male, la cattiveria, il mondo oscuro, ma è proprio il suo infierire su Inanna che la rende, alla fine, così potente da vincere la morte e superare il suo stesso amore. Questo mito parla alla nostra anima, è il racconto dell’incontro con la nostra ombra e tutti noi, nella nostra vita, siamo stati l’una o l’altra delle due sorelle. Per questo, studiare il mito mi ha dato l’ispirazione per creare “Oscure gemelle, sorelle amate”: un percorso di libroterapia umanistica sulle sfaccettature multiformi del rapporto tra donne, dalla rivalità alla sorellanza, e sulle emozioni che ruotano intorno all’amicizia femminile. 

“Oscure gemelle, sorelle amate” è in partenza ad aprile 2023: scrivimi a info@irenebenussi.it se anche tu sei rimasta stregata dalla storia delle due antiche dee e vuoi partecipare a questo nuovo percorso di lettura condivisa.

 Ti aspetto!

2 commenti su “Oscure gemelle: il mito di Inanna ed Ereshkigal”

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