Filare e tessere sono due attività antichissime, tipicamente femminili, presenti sia nella narrazione mitologica che in quella fiabesca. Piene di simboli e di rimandi, meritano veramente di essere riscoperte: seguimi in questo viaggio fra la trama e l’ordito dell’esistenza.
Una parte integrante del mio lavoro e della mia vita è il recupero di una spiritualità semplice, quotidiana, e spesso trovo riferimenti in questo senso nei gesti di una volta, quelli che scandivano le giornate delle nostre nonne contadine. Studiando le antiche leggende e tradizioni, leggendo le vecchie fiabe, mi sono resa conto che un tempo la filatura e la tessitura erano considerate delle vere e proprie arti magiche. Erano lavori femminili che collegavano direttamente le donne alle dee del fato, che erano appunto dee filatrici, e così, spesso, questi lavori domestici venivano usati per innalzare preghiere e lanciare incanti: il gesto di tessere e filare può essere monotono, ripetitivo, per questo in genere durante i lavori si chiacchierava, si raccontavano storie, cercando di tener desta l’attenzione: altrimenti il rischio è di cedere a quei movimenti quasi ipnotici che possono portare la mente lontano, in contatto con le profondità dell’inconscio, con un altro mondo che è separato da questo soltanto da un sottilissimo velo.
Le dee filatrici compaiono in moltissime tradizioni antiche. In Giappone Amaterasu, dea del Sole, del riso e del frumento, era anche considerata l’inventrice della tessitura della seta. Per i Nativi americani la vita e l’intero universo sono creati e tessuti dalla Donna Ragno, che è conosciuta con nomi diversi ma con la stessa funzione creatrice in quasi tutte le tribù. Io mi sono concentrata soprattutto sull’area europea. In Grecia c’erano le Moire – Cloto che filava il filo della vita di ogni uomo, Lachesi che lo misurava e Atropo che lo tagliava – ma anche Artemide è spesso raffigurata con in mano una conocchia colma di lana; nell’antica Roma le filatrici della vita erano le Parche, chiamate anche Fatae: dee del fato, del destino, da cui deriva la parola “fata” che oggi usiamo per indicare uno spirito benevolo della natura. L’etimologia di questo termine è fari, il parlare profetico (da cui proviene anche fabula, la favola: un po’ come dire che la favola è depositaria di una realtà superiore, che esiste a un livello archetipico e universale). Nell’antica Roma le Fatae “pronunciavano la parola divina”, ovvero facevano profezie sul destino degli uomini. Fata era la profetessa e la dea del destino; le Fatae – le Parche – presiedevano così a tutti i destini, e segnatamente alle nascite e alle morti. La stessa funzione era quella delle Norne, le tre sorelle filatrici della mitologia norrena. Esse vivono tra le radici di Yggdrasil, il sacro albero della vita che unisce i mondi – infero, terrestre e celeste. Le Norne sono più antiche degli dei e garantiscono l’ordine delle cose: stabiliscono i ritmi della Natura e danno forma alle sorti degli uomini, intrecciando ogni vita nella tela del Wyrd, la tela del destino. I loro nomi sono voci del verbo norreno verda, che significa sia “girare” che “divenire”.
Il fuso gira e gira, e girando fila i giorni che diventano esistenze; le tre fanciulle del fato si chiamano Urd (“divenne”), colei che tesse la tela e regge il passato, Werdandi (“sta divenendo”), colei che arrotola il filo, e Skuld, (“sarà”), la Norna che lo taglia. Urd, la maggiore, era chiamata Wurt dai Germani e Wurd dai Sassoni; in inglese antico il suo nome era Wird (o Werd), da cui deriva weird, il “destino” in inglese medievale, e il Wyrd norreno, che è il concetto che esprime il legame di causa-effetto fra tutto ciò che è.
Se le Norne filano le vite umane, il Wyrd può essere rappresentato come un arazzo, in cui questi fili sono intessuti, si intrecciano, si allacciano l’un l’altro formando disegni, nodi e legami. Ogni momento di ogni vita è dato dall’unione di ordito e trama nella grande tela del Wyrd: tutto ciò che esiste è collegato in questo immenso tessuto, che continua ad esistere anche quando i singoli fili si spezzano, perché in ogni momento fili nuovi vengono filati, misurati e intessuti insieme.
Questa similitudine fa capire quanto fosse importante la simbologia della tessitura e il ruolo delle dee tessitrici; così, anche i loro strumenti – il fuso, la rocca, il telaio e la spola – sono diventati nel tempo degli strumenti magici e spirituali. Da testi ecclesiastici medievali che condannano le usanze pagane sappiamo che era abitudine, per le tessitrici, appendere ai telai amuleti e figurine di donne, dee e animali, e che le donne invocavano una dea (assimilata a Minerva o alla germanica Holle) durante la tessitura. Un testo del 700 che elenca tutte le pratiche considerate blasfeme indica sotto la stessa voce “lavoro a maglia o pratiche magiche”, e ne vieta la pratica alle calende, ovvero il primo giorno di ogni mese: in queste date, nel paganesimo europeo, cadono quattro volte all’anno i cosiddetti “Sabba maggiori”, ovvero le feste che scandiscono la Ruota dell’anno dal punto di vista agricolo e pastorale. Questo ci fa capire che, al di là della filatura e della tessitura quotidiane – questi mestieri erano estremamente diffusi fra le donne e le ragazze di ogni ceto – c’era un tipo di filatura e tessitura rituale, che queste stesse donne usavano per comunicare con le divinità del fato. La rocca, o conocchia, poteva diventare il surrogato del bastone sciamanico – e in realtà in area Scandinava sono state trovate numerose sepolture di profetesse, tumulate insieme ai loro strumenti di potere, fra cui dei bastoni rituali che avevano proprio la forma di rocche. Il nome stesso delle profetesse nordiche, Völur (al singolare Völva), deriva da völr, ovvero bastone, da cui deriva anche l’inglese wand, che indica la bacchetta magica. Spesso i fusi e i telai erano decorati con rune o segni magici, e i tessuti che si ricavavano da questi lavori erano anch’essi intrisi di magia. La dea celtica Brigid, venerata alle calende di febbraio, era considerata colei che ha portato la tessitura in Irlanda e un bel rituale pagano, praticato ancora oggi da chi segue la religione antica, consiste nell’esporre all’aperto, nella notte fra l’1 e il 2 febbraio, il cosiddetto “manto di Brigid”, ovvero una stoffa che sarà benedetta dalla dea e che durante l’anno porterà benedizioni, ispirazione e guarigione a chi la indosserà. Brigid è anche la dea della poesia, e le piacerà sapere che nel Rig Veda, il testo sacro induista, i cui versi sono detti sutra, che significa “fili”, la poesia viene paragonata alla tessitura, che peraltro ha la stessa etimologia dell’italiano “testo”.
Fusi e conocchie sono anche i protagonisti di numerose fiabe tradizionali; mi viene in mente in particolare la famosa “Le tre filatrici”, riportata dai fratelli Grimm, in cui la protagonista è una ragazza pigra e svogliata che detesta filare, e stranamente non è punita per questo. Le viene data una quantità enorme di lino da filare, e lei dapprima si dispera, ma poi affida il compito a tre strane donne – che ricordano tanto le tre dee del fato, ma anche le fate madrine di Rosaspina, la Bella Addormentata che cade in un sonno magico pungendosi proprio con un fuso – che filano tutto in men che non si dica. La loro bravura si rispecchia nel loro aspetto fisico: quella che muove il pedale del filatoio ha un piede spropositato, quella che lecca il filo ha un enorme labbro pendulo e quella che lo torce ha un pollice mostruoso. In cambio del favore le tre filatrici chiedono alla fanciulla soltanto di essere invitate alle sue nozze con il principe, e di essere presentate come “cugine”. La ragazza lo fa, e il principe, nel timore che, filando, anche la sua sposa sviluppi quelle deformità, le vieta anche solo di avvicinarsi a un fuso. Di solito nelle fiabe classiche le scansafatiche fanno una brutta fine, ma qui invece la ragazza viene premiata, perché mantiene la promessa fatta alle filatrici, non si vergogna di loro e dimostra la sua gratitudine: in un certo senso, questa fiaba è un inno alla lealtà, alla riconoscenza e alla collaborazione.
Un testo contemporaneo in cui risuona più volte la simbologia del tessere e filare è “Le nebbie di Avalon”, il romanzo di Marion Zimmer Bradley. In particolare c’è un passaggio in cui Morgana, la protagonista, che per tutto il libro spiega che tessere la fa cadere in una sorta di trance – uno stato mentale che le apre le porte della Vista e della magia – lancia un incantesimo proprio sfruttando l’arte della tessitura. Il brano è molto evocativo e ne riporto alcune frasi: “Morgana incominciò a passare la spola nella trama, lentamente. Era una stoffa a scacchi verdi e marroni, non molto impegnativa per un’abile tessitrice. Finché seguitava a contare i fili, non doveva concentrare l’attenzione. La spola si insinuava nella trama: verde, marrone, verde, marrone, e ogni dieci fili di ordito doveva prendere l’altra spola e cambiare colore… il verde delle foglie di primavera, il marrone della terra e delle foglie cadute dove il cinghiale grufolava in cerca di ghiande… […] La spola saettava avanti e indietro, verde e marrone, verde e marrone… il mondo cominciò ad offuscarsi davanti ai suoi occhi… […] Anni prima era stata la Vergine Cacciatrice e aveva benedetto il Consorte […] Come Madre, con il potere della fertilità, aveva intessuto gli incantesimi [d’amore, n.d.r.]. Adesso sedeva lì con la spola in mano e intesseva la fine, come l’ombra della Morte. […] Con una minima parte della mente, Morgana sapeva che le sue mani continuavano a tessere; sotto le palpebre abbassate non vedeva la stanza né i fili, ma soltanto l’erba sotto gli alberi, il fango e le foglie morte… marrone e verde, verde e marrone…”. E sempre in questo romanzo si fa riferimento al fodero magico di Excalibur, la spada di re Artù: secondo la leggenda si trattava di una spada incantata che rendeva invulnerabile il suo possessore, ma nel romanzo la magia risiede invece nel fodero, che è stato tessuto, cucito e ricamato ritualmente da Morgana, in un incantesimo durato tre giorni e tre notti di digiuno, preghiera e meditazione.
Nella filatura, il fuso gira e il filo si arrotola attorno al bastoncino, in un movimento a spirale che richiama la ciclicità delle stagioni e delle fasi della vita. Anche il movimento della tessitura può essere letto in chiave simbolica; nel suo moto di andata e ritorno, la trama si lega all’ordito unendo in sé le due dimensioni dell’essere: quella orizzontale, umana e terrestre, e quella verticale, celeste e divina. Amo il modo in cui le due polarità si fondono, si uniscono per dare vita a qualcosa di completamente nuovo: il tessuto che nasce dall’incontro degli opposti è il simbolo delle nozze sacre che avvengono dentro di noi, quando accogliamo nella nostra vita e nella nostra essenza il buio e la luce, la terra e il cielo, e scegliamo di onorare in noi stessi non solo un aspetto ma anche il suo opposto. Il filo che ruota sul fuso è l’anima di ogni persona, e il tessuto teso sul telaio è il percorso di quell’anima, che radicandosi si eleva. Filare e tessere, al di là dell’atto pratico, possono essere intesi come gesti creativi, meditazioni attive in cui la magia passa per le mani e, mediante l’unione degli opposti, crea qualcosa che prima non c’era. Che sia un pezzo di stoffa o una nuova consapevolezza – la scelta, alla fine, resta a sempre a noi.
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Prima di fare il corso con te, non avrei mai pensato di mettermi a “filare e tessere”… ma ammetto che al di là del risultato finale (di cui posso essere soddisfatta o meno), è un gesto veramente ipnotico e ad un certo punto mi sono resa conto che mi ero talmente isolata in un altro mondo, che non sentivo nulla di ciò che avevo intorno. Sempre di più mi rendo conto che ci sono dei piccoli gesti che provengono dal passato (e che purtroppo abbiamo dimenticato) che sono invece carichi di significato e una gestualità piena di energia da far apparire la vita completamente diversa da come ahimè la viviamo ora. Grazie di avermi fatto entrare in questo mondo incantato 🙂
Laura, grazie a te di questa tua condivisione! Sono felice di averti dischiuso le porte di questo mondo semplice, saggio e pieno di significato, e ancora di più che tu abbia deciso di varcarle… e di lasciarti trasportare dalla magia dei suoi gesti e dei suoi simboli che sono allo stesso tempo così arcani e così universali! Ti abbraccio forte,
Irene
Adoro ogni parola 🙂
Silvia, ti ringrazio tanto, sono felice che ti sia piaciuto!