Una medichessa e una santa che hanno saputo mettere il loro sapere al servizio del prossimo, in un ambiente dominato dagli uomini.
Quasi contemporanee, Ildegarda di Bingen e Trotula de Ruggiero di Salerno si distinguono come due figure eminenti della medicina medievale. Mistica la prima, dotta la seconda, entrambe riuscirono a emergere in un ambiente che vedeva primeggiare i loro colleghi maschi, mentre le donne erano escluse non soltanto dalla pratica della medicina, ma spesso addirittura dalla cura di molte malattie anche gravi.
Le donne medico del Medioevo
In epoca medievale il corpo della donna era visto con sospetto, spesso considerato un ricettacolo del male, del peccato e della perdizione; i medici si limitavano a curare i malesseri comuni, evitando di toccare le loro pazienti, e di solito si basavano, per le loro diagnosi, sulla semplice descrizione orale dei sintomi. In più, le donne stesse provavano pudore o timore nel manifestare di fronte a un uomo i loro disturbi, più o meno intimi, più o meno legati alla loro femminilità: questo duplice silenzio non poteva che generare, nel corso di secoli, trascuratezza nella cura delle donne e innumerevoli morti derivate da banali malattie facilmente curabili.
Non c’è quindi da stupirsi se le guaritrici popolari, un po’ erboriste e un po’ maghe, furono prevalentemente donne e curarono prevalentemente altre donne; ma l’utilizzo di erbe, prodotti naturali o poteri taumaturgici, come è noto, era considerato stregoneria, le donne che praticavano questi rimedi erano streghe e loro complici erano le ammalate in cerca di un rimedio.
La medicina ufficiale poteva poco nella cura dei malanni femminili: anche laddove la religione non esercitava un controllo diretto, fra i medici e le pazienti i rapporti restavano velati da paure e timidezze, o da un vago senso di peccato. Del resto, la stessa pratica della medicina era molto diversa da come viene intesa oggi: ben presto, con la caduta della medicina romana, le prescrizioni di sostanze medicamentose furono assegnate ai farmacisti e gli interventi chirurgici ai barbieri; uno spazio veniva in effetti affidato alle donne, ma esclusivamente nel ruolo di infermiere o di levatrici. Che una donna medico potesse diagnosticare e guarire al pari dei suoi colleghi maschi resta un’utopia fino all’XI sec., quando la Scuola Medica di Salerno, fuori dal controllo ecclesiastico, ammise fra i suoi uditori un certo numero di donne, le cosiddette “Dame di Salerno”. Fra esse si trovava Trotula (o Trotta, o Trottula) de Ruggiero.
Contemporaneamente, nel monastero benedettino di Disibodenberg, nei pressi di Magonza in Germania, si manifestava l’attività di mistica e sapiente guaritrice di Ildegarda di Bingen, che non venne mai canonizzata formalmente, ma che fu tanto amata da meritare l’appellativo di Santa Ildegarda.
È’ in uno scenario quasi esclusivamente maschile, dunque, che emergono queste due figure di donna, molto diverse fra loro ma accomunate da un unico obiettivo: imparare e mettere il frutto del loro sapere al servizio del prossimo.
La medichessa di Salerno
Nata a Salerno fra il 1100 e il 1200, Trotula de Ruggiero proveniva da una famiglia nobile e, in virtù della sua appartenenza a un ceto sociale elevato, poté frequentare le scuole superiori ricevendo un’educazione in campo medico. Quando, intorno alla metà dell’anno Mille, avvenne una progressiva riorganizzazione dell’Università di Salerno, Trotula ebbe una cattedra di insegnante insieme al marito e ai figli, medici anch’essi.
Va detto che la Scuola Medica di Salerno rappresentava, al volgere dell’XI sec., il cuore culturale dell’Italia meridionale: il centro campano era un ricco crocevia di culture, dalla latina alla greca, dall’araba all’ebraica. Grazie anche all’opera di eminenti studiosi quali Costantino Africano, traduttore e divulgatore di opere mediche arabe e greche, la Scuola divenne rapidamente un centro illuminato, tanto da far guadagnare a Salerno l’appellativo di “città di Ippocrate”, dal nome dell’importantissimo medico dell’antichità classica.
A distinguere la Scuola salernitana fu soprattutto la stretta collaborazione che intercorse tra uomini e donne, che frequentavano quelle aule come allieve e docenti. Comunemente definite le “Dame di Salerno”, ebbero un peso sostanziale nello sviluppo della medicina contemporanea, perché iniziarono a occuparsi di questa scienza anche da un punto di vista femminile, fino ad allora trascurato.
Fra di loro si ricorda una multae doctrinae matrona Salernitana, quae librum scripsit de morbis mulierum et eorum cura[1]: Trotula, l’unica di cui ci sia pervenuta notizia, benché i suoi scritti originali siano andati perduti ed esistano controversie sull’attribuzione dei due trattati di cui comunemente è considerata l’autrice. In uno studio a lei dedicato da Ferruccio Bertini, docente dell’università di Genova, viene sollevata la questione se Trotula sia da considerare una guaritrice che basa la sua opera su un fondo più o meno spesso di ciarlataneria e superstizione, o piuttosto una sapiens matrona; viene quindi scandagliata la scientificità del suo lavoro e la credibilità della sua figura. La risposta di Bertini, avallata dalle numerose testimonianze di studiosi antichi e moderni, è chiara: Trotula si mantiene su un piano rigorosamente medico, sottraendosi, forse inconsapevolmente, al tentativo di inquadramento moralistico operato dalla teologia scolastica.
Resta spinosa la questione dell’attribuzione delle sue opere: fra esse si evidenziano un trattato intitolato De mulierum passionibus, ante, in et post partum (“Le malattie delle donne prima, durante e dopo il parto”), conosciuto come il Trotula Maior, e il De ornatu mulierum (Gli adornamenti delle donne), noto come Trotula Minor. Oggi la paternità (o meglio maternità) di questi scritti è ampiamente riconosciuta alla studiosa salernitana, dopo che in passato molti critici ritennero di attribuirli ai suoi discepoli e studenti, in ogni caso uomini. Resta ancora aperta la questione sul De feribus e sul De compositione medicamentorum, mentre è certo che Trotula ebbe una parte importante nella stesura della Pratica brevis, un’enciclopedia medica che scrisse insieme al marito, il famoso dottore Giovanni Plateario, da cui ebbe due figli, medici anch’essi, noti come i Magisteri Platearii.
L’opera principale di Trotula, comunque, resta il De mulierum passionibus, un lungo trattato, notevole per l’argomento e per la modernità dei rimedi proposti. Si tratta di un vero e proprio excursus sui disturbi delle donne, sui problemi della gestazione, sui casi di infertilità, e offre rimedi che vanno da metodi per il controllo delle nascite a consigli dietetici. Trotula, in modo eccezionalmente attuale, sottolinea l’importanza per le donne incinte e le puerpere di un’alimentazione equilibrata, di una corretta igiene, di una costante attività fisica.
Per quanto il tema principale del suo studio sia la ginecologia, nel De mulierum passionibus vengono discusse svariate malattie: dai problemi alla vista al cancro, alla sordità, ai pidocchi, al mal di denti. Rivelando una grande sensibilità, ella prescrive per la povera gente rimedi semplici, economici e facilmente reperibili, come del resto fece anche Ildegarda di Bingen descrivendo l’uso delle piante medicamentose e dei rimedi naturali.
Il De ornatu mulierum affronta un tema apparentemente più leggero: si tratta di un trattato di cosmetica, in cui vengono passati in rassegna trucchi e segreti per esaltare la bellezza femminile. Vi si trovano ricette a base di ingredienti naturali per i capelli e la pelle, per ottenere un incarnato roseo e uniforme, per togliere i peli, per sbiancare i denti. Fra questi suggerimenti, che fanno capire come le preoccupazioni estetiche femminili siano le medesime in ogni epoca, si trovano inaspettatamente degli adornamenti che riguardano il “luogo vergognoso”, di cui Trotula parla senza il pudore che ci si aspetterebbe in quell’epoca. La medichessa offre consigli per “farlo costringere” e suggerisce preziosi rimedi per tutte “quelle che vogliono parere vergini, e non sono”, generando in tal modo un piccolo sospetto: viene spontaneo chiedersi quante delle candide dame cantate dai poeti medievali, allora, abbiano ritrovato il loro candore perduto proprio grazie agli insegnamenti di Trotula de Ruggiero.
La Prophetissa teutonica
A differenza della studiosa salernitana, la vita di Ildegarda è ampiamente testimoniata: oltre ai suoi numerosi scritti, e in particolare quelli di argomento mistico che la confermano una figura di primo piano del movimento ascetico femminile, abbiamo i tre libri della Vita Sanctae Hildegardis, ad opera di Goffredo, monaco di Disibodenberg, e di Teodorico di Echternacht. Anche Gilberto di Gembloux iniziò una Vita della religiosa, conosciuta come la Prophetissa teutonica; infine, parlano di lei gli atti presentati dalle monache di Rupertsberg per ottenere la sua canonizzazione, che, in realtà, non fu mai ufficializzata – ma Ildegarda è una figura di spicco della mistica femminile medievale, e la sua fama è tanto vasta che, anche se impropriamente, è stata definita Santa all’indomani della sua morte.
Nacque nel 1089 a Bermersheim e otto anni dopo entrò nel convento benedettino di Disibodenberg, dove prese i voti e nel 1136 fu eletta superiora. Di salute cagionevole, per tutta la sua vita Ildegarda soffrì di atroci dolori fisici ai quali si accompagnavano stadi estatici che la portavano a raggiungere un contatto diretto con il divino; esortata dal suo abate Cunone, nel 1141 la monaca iniziò a trascrivere le sue rivelazioni celesti in un’opera intitolata Scivias.
L’autenticità delle sue visioni fu garantita da alcuni messi pontifici inviati nel 1148 a indagare sul fenomeno, e fu allora che l’aura di santità prese a brillare sempre più intensamente sul suo capo.
Qui non mi addentrerò nello studio delle estasi mistiche che accompagnarono Ildegarda lungo l’intero corso della sua vita, tuttavia è impossibile non riscontrare un legame fra le sue visioni e i dolori che la affliggevano, e fra questi e il suo interesse per lo studio del corpo umano.
A differenza di quella di Trotula, la teoria di Ildegarda è sottesa da quel misticismo che la contraddistingue. La sua opera principale, il Liber divinorum operorum (“Libro delle opere divine”), traccia una dettagliata descrizione del macrocosmo e del microcosmo, e vede il mondo e l’uomo indissolubilmente legati fra loro, partecipi entrambi dell’azione divina. Questa stretta affinità fra l’umano e il divino giustifica l’attenzione di Ildegarda per le cure naturali, rimedi, come quelli di Trotula, accessibili a tutti e composti in gran numero di erbe e piante medicamentose.
La malattia altro non è, per la Prophetissa teutonica, che la rottura dell’armonia fra il corpo e lo spirito: anche qui siamo in presenza di tesi straordinariamente moderne, che sono state raccolte e sperimentate dalla medicina ufficiale nel corso dei secoli.
La prima opera propriamente scientifica della santa è la Physica, suddivisa in nove sezioni, in cui sono descritti gli elementi naturali (solamente tre: terra, aria e acqua), gli alberi, le gemme, gli uccelli, i pesci e i mammiferi. Buona parte del libro è un vero e proprio trattato di fitoterapia, o una sorta di enciclopedia naturale, in cui sono minuziosamente riportate le proprietà terapeutiche di oltre duecento piante. Anche Causae et curae si occupa del rapporto uomo-mondo e allarga la sfera degli argomenti trattati alla cosmologia e alla cosmografia. Dopo le sezioni riguardanti le malattie e i disturbi dell’uomo, torna anche qui una descrizione delle erbe medicamentose. Infine, il libro si conclude con una sezione di astrologia e offre predizioni per tutti i giorni del mese. Quella di Ildegarda non è una medicina rigorosamente scientifica, ma una miscellanea di suggerimenti “dolci”, alla portata di tutti, tesi a riconquistare il benessere cercando tanto la salute dello spirito quanto quella del corpo.
La Prophetissa teutonica non dimentica mai il suo ruolo di monaca e insiste di essere un veicolo di Dio. In tutti i suoi scritti Ildegarda si definisce un’ignorante ispirata dalle sue visioni divine: mancandole un forte substrato teorico e una preparazione accademica, che erano invece il vanto di Trotula, scelse di fondare la propria credibilità non sul proprio sapere ma sulla decisione divina di rivelare proprio a lei quelle istruzioni tanto utili a tutti.
Siamo, in questo caso, in presenza di una scienza naturale empirica, in cui le nozioni mediche si mescolano alle visioni e alle profezie. Rispetto a quello di Trotula, il sapere di Ildegarda si amplia in un contesto più vasto, inserisce l’uomo in un equilibrio che abbraccia l’intero creato. Più che la salute, ciò che trasmette la santa è l’attenzione per la serenità: fra i suoi consigli troviamo tisane, decotti, digiuni. Tutto questo con un occhio costantemente rivolto a Dio, il creatore di tutte le cose e in particolare di quelle che aiutano a mantenere la salute del corpo e dello spirito, e che permettono all’uomo di non perdere il contatto con il Cielo.
Scrive, infatti, la medichessa teutonica: Santo sei Tu che animi il creato, Santo sei Tu che risani le ferite purulente. O Tu, potente via che tutto attraversa, in alto nei cieli, in basso sulla terra, Tu unisci e richiudi ogni cosa in una.
[1] “Una matrona salernitana di grande cultura, che scrisse un libro sui disturbi femminili e le loro cure”.